I DISAGI E LE DIFFICOLTA’ DEI NOSTRI FEDELI CRISTIANI
DI FRONTE ALL’ESPERIENZA DEL TRIBUNALE ECCLESIASTICO.
(Testo tratto dalla Relazione di Mons. Paolo Rigon, tenuta all’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2018)
Oggi, come conclusione di questo mio intervento, raccomanderò di prendere sempre in esame, da parte dei fedeli cristiani che abbiano contratto il matrimonio Sacramento, la possibilità di ricorrere alla dichiarazione di nullità nell’ipotesi che il proprio matrimonio fosse fallito, ma, di fronte a questa proposta o suggerimento che può venire o dal Parroco, o dai genitori stessi della coppia, o, come molto più spesso avviene, dagli amici o da chi ha già fatto l’esperienza del Tribunale Ecclesiastico (le nostre cause molto spesso nascono dal “passa parola”) scaturiscono molto spesso, se non quasi sempre, forti remore che si traducono quindi in vere e proprie difficoltà o disagi nel voler fare fronte al problema. Troppo spesso quindi si ritiene di non avere né la forza né il coraggio di affrontarli.
Cerco oggi di evidenziare queste difficoltà che nascono, nel tentativo di dare anche delle risposte ovviamente di carattere pratico e pastorale che possano essere utili e illuminanti.
Ecco, punto per punto, i disagi o le difficoltà che i fedeli cristiani sentono o provano a fronte di una proposta di dichiarazione di nullità da parte del Tribunale Ecclesiastico.
- Il non voler distruggere o “annullare” un’esperienza di vita o di scelta matrimoniale che, pur essendo fallita, ha avuto anche momenti belli e positivi. Questa difficoltà la prova l’altro coniuge che è chiamato in giudizio, ossia la parte convenuta la quale potrebbe non sentirsi di collaborare o addirittura quindi decidere di opporsi alla causa.
Rispondiamo subito nell’affermare che il procedimento ecclesiastico non “annulla alcunché”, è la sentenza di divorzio civile che annulla il matrimonio: ossia il matrimonio è esistito ma con la dichiarazione di divorzio si fa conto che non esista più, ossia lo si annulla. Ben diversa è la dichiarazione di nullità da parte del Tribunale Ecclesiastico: essa stabilisce e sentenzia che quel matrimonio non è mai nato, quindi non c‘è nulla da annullare bensì è prendere atto che mentre i due coniugi (e i fedeli cristiani davanti ai quali fu espresso quel consenso nuziale) credevano di essere legati dal sacramento del matrimonio invece non lo erano per una serie di motivazioni, che sono anche numerose, e che riguardavano i due sposi. In pratica in questo caso il sacramento del matrimonio non sarebbe mai esistito. La Chiesa ha potere di pronunciarsi sulla validità di un Sacramento che fa parte del suo patrimonio e della sua ricchezza ed è giusto e doveroso stabilire se un sacramento c’è stato o non c’è stato posto che si tratta di un atto pubblico nella Chiesa: il Sacramento infatti è un dono di Dio attraverso la Chiesa, ma se questo dono di Dio non si è realizzato è corretto che la Chiesa stabilisca la sua non esistenza. E’ ovvio che anche celebrando un matrimonio nullo di fatto si possano verificare realtà importanti esteriori talora anche molto belle, per es. la nascita di un figlio, ma quella stessa realtà poteva verificarsi anche senza il sacramento. Pensiamo, per esempio, alla scelta di due persone di soltanto convivere, è probabile che da quell’opzione di vita si verifichino cose e realtà anche belle, ma se poi, di fatto, quella convivenza fallisse, i due si lasciano senza problemi e le cose belle potranno restare un bel ricordo, una esperienza di vita certamente arricchente, ma sicuramente non sono quelle che possono frenare dal decidere di lasciarsi. La stessa cosa va detta per la dichiarazione di nullità di un Sacramento del matrimonio che non è mai esistito perché appunto viziato di nullità. Mi piace qui ricordare che se un matrimonio sacramento nasce viziato da una nullità è ben difficile che abbia successo e vita lunga sarebbe come pretendere che un tavolo stesse in piedi con sole due gambe.
Papa Francesco, nell’inaugurazione dell’anno giudiziario della Rota Romana di quest’anno, ha detto: “L’intenzione sacramentale non è mai frutto di automatismo, ma sempre di una coscienza illuminata dalla fede, come il risultato di una combinazione tra umano e divino. In questo senso l’unione sponsale può dirsi vera solo se l’intenzione umana degli sposi è orientata a ciò che vogliono Cristo e la Chiesa” La consapevolezza di tutto ciò richiede l’apporto e l’intervento della Chiesa stessa attraverso persone competenti quali quelle del Tribunale Ecclesiastico.
- La difficoltà or ora ricordata tanto più diventa rilevante se da quel matrimonio sono nati dei figli. “L’annullarlo” sarebbe fare un torto alla prole nata, che cosa ne è dei figli con la nullità? Chi sono e come restano? “Si annullano anche loro?” Che cosa diciamo o spieghiamo ai nostri figli?
Non ci nascondiamo che questa è forse la difficoltà più grossa in qualche modo da superare. Cominciamo subito a riflettere sul fatto che purtroppo i figli hanno già vissuto il grave trauma della separazione dei due genitori, il travaglio “dell’annullamento” del matrimonio genitoriale con il divorzio che segue a “spron battuto” dopo la separazione, e magari anche della nuova realtà dell’uno o di entrambi i genitori di essersi uniti ad un’altra persona. In genere, infatti, la dichiarazione di nullità è sempre successiva alla separazione e al divorzio per cui i problemi, i disagi e le preoccupazioni per i figli bisognava porseli prima e non ora a fronte della richiesta di dichiarazione di nullità. La sentenza del Tribunale Ecclesiastico innanzitutto non è traumatica per i figli i quali, com’è ben noto, restano quelli che sono ossia figli legittimi con un padre e una madre ben determinati detenendo tutti i diritti e i doveri verso i genitori biologici i quali mantengono esattamente tutti i doveri verso di loro. I figli non dovrebbero mai essere coinvolti in una causa di nullità che riguarda solo lo stato dei due genitori ma che non cambia nulla per loro, al limite potrebbero anche non essere neppure informati della causa di nullità. Purtroppo invece spesso si vuole coinvolgere la prole servendosi proprio della causa di nullità per inculcare e poter dire loro: “ecco guarda chi era tuo padre o tua madre!”
La nostra esperienza invece dice che se le cose si svolgono con serenità, se i figli non sono coinvolti nella causa di nullità che non li riguarda, alla fine sono ben contenti che l’uno o entrambi i genitori si risposino con un’altra persona, (con cui forse già hanno celebrato un secondo matrimonio civile), con rito sacramentale realizzando una pienezza di vita anche sotto il profilo religioso. Poiché noi chiediamo sempre se di fronte al nuovo matrimonio religioso i figli di prime nozze siano contenti, generalmente la risposta è del tutto affermativa.
- Un’altra difficoltà o forte disagio lo crea, nell’affrontare una causa di nullità, il dover fare una grossa analisi su un pezzo di storia o su tutta la storia della propria vita guardando in faccia sé stessi, mettendosi oggettivamente in discussione, o anche accettando di avere delle proprie responsabilità nel fallimento del matrimonio: la frase che nel dissesto del proprio matrimonio “c’è sempre una responsabilità di entrambi” è nota, la si ripete spesso, ma è molto difficile realmente farla propria. La grossa tentazione, che è anche una tendenza, è quella di dare ogni colpa e responsabilità del fallimento del matrimonio all’altro coniuge dispensando quindi la propria persona dall’autocritica, dal mettere in discussione sé stessi.
Il non volersi mettere in discussione in prima persona talora è quasi come una forma ossessiva o comunque è un intestardimento dal quale è difficile uscire: ne sanno qualche cosa gli avvocati quando devono analizzare un caso di nullità rendendosi conto che, probabilmente, i problemi più grossi li ha avuti proprio la persona che ricorre a loro e che vorrebbe chiedere la nullità. In questi casi gli avvocati si assumono il compito difficile di far aprire gli occhi e far capire quanto importante sia stato il ruolo negativo in quella vicenda matrimoniale proprio dalla persona che hanno davanti. Questo, soprattutto, se si deve affrontare l’aspetto psicologico o psichico di uno e\o dell’altro coniuge. E’ spesso difficile che, chi prende l’iniziativa di una causa di nullità, abbia la capacità di accettare un esame su sé stesso soprattutto se si tratta di un esame peritale e comunque accettare di avere delle responsabilità personali.
Da un lato tutti debbono essere consci della capacità e sensibilità pastorale degli avvocati siano essi i nostri Patroni Stabili o Professionisti del nostro Albo nel saper affrontare questo delicato aspetto, dall’altro bisogna richiamare alla umiltà che ogni persona deve avere nel saper riconoscere le proprie debolezze, i propri limiti o anche le proprie colpe mettendo anche in rilievo che spesso non si può parlare di colpa perché certe situazioni non dipendono a volte da cattiva volontà ma dall’intera vicenda vissuta nella propria vita personale fin forse da bambini. E’ infatti qui importante ricordare come, mentre per una separazione o per un divorzio civile è sufficiente la volontà dei due coniugi di sciogliere il vincolo coniugale per cui il Giudice non analizza nulla di ciò che è avvenuto in quel matrimonio, per la dichiarazione di nullità invece si esamina tutta la vicenda coniugale in ogni suo aspetto nonché i risvolti che ci possono essere stati partendo proprio dalla storia personale, fin dall’infanzia, dei due interessati. In questo senso la causa di nullità diventa molo utile per capire il perché quel matrimonio sia fallito e quindi evitare che un nuovo matrimonio nasca con le stesse premesse.
- Un’altra difficoltà è quella del come avvicinarsi al Tribunale: non parlo dell’indirizzo stradale, bensì del rovellìo interiore e psicologico del “come approcciarsi nel proprio caso”. La strada maestra è quella di rivolgersi ad un avvocato, ovviamente iscritto al nostro Albo, e presentare il proprio caso: sarà l’avvocato, con una serie di domande, ad indagare l’eventuale fondatezza della nullità e quindi sarà l’avvocato a spiegare come funziona il Tribunale Ecclesiastico e che cosa bisogna fare per introdurre una causa.
La stessa cosa avviene rivolgendosi ai Nostri Patroni Stabili che sono appunto avvocati che gratuitamente fanno consulenza in Tribunale. Ma il problema è :
-dove trovare l’albo degli Avvocati? Come prendere appuntamento con il patrono Stabile? Ormai tutti sanno usare internet per cui basta digitare “Tribunale Ecclesiastico” che subito appare il Tribunale Ligure con tutte le informazioni del caso. Se il discorso sembra facile, in realtà non lo è, proprio sul piano psicologico.
Qui diventa importante l’apporto della comunità Ecclesiale: ci si può rivolgere al proprio Parroco, alla Curia Vescovile della propria Diocesi (dove i Patroni Stabili ogni mese ricevono su appuntamento) rivolgersi ad amici che ci introducano oppure direttamente al Tribunale. Ovviamente qui diventa davvero importante la premurosa carità dei Parroci e della famiglia parrocchiale perché il primo passo è sempre il più difficile. Raccomandiamo ai Parroci, o ai fedeli laici di accompagnare loro stessi quel primo passo: fare la prima telefonata di appuntamento, o, meglio ancora, accompagnare la prima volta l’interessato in Tribunale proprio per far superare quell’ansia dell’incognito che prende quando si deve affrontare una cosa importante e sconosciuta.
- Un altro problema arrovella chi desidera fare una causa di nullità: il dover coinvolgere l’ex coniuge, soprattutto quando la separazione e il divorzio sono stati difficili, litigiosi o addirittura drammatici.
Come il matrimonio è nato dal consenso di due persone che si sono assunti diritti e doveri reciproci, ovviamente anche la dichiarazione di nullità deve coinvolgere entrambi i coniugi: non si può fare un procedimento di nullità “unilaterale”, ossia agendo da soli in causa.
Questa difficoltà di entrare in qualche modo in dialogo con l’ex coniuge molto spesso fa desistere dall’introdurre una causa di nullità.
Certamente è doveroso avvisare l’altro coniuge se si prende una iniziativa del genere, sarebbe auspicabile che ciò avvenisse direttamente fra le due parti, ma se ciò non può avvenire allora sarà lo stesso avvocato che prenderà l’iniziativa di entrare in contatto con l’altra parte: è un compito delicato e non facile che in genere gli avvocati si assumono e debbono assumerselo: in questo caso raccomanderei di usare tutta la delicatezza e la sensibilità pastorale perché, da quella lettera o telefonata all’altra parte, può dipendere il successo o meno della causa stessa.
Le reazioni dell’altro coniuge possono essere diverse: c’è chi prende la notizia in modo positivo ammettendo che effettivamente nella storia del loro matrimonio sacramento ci sono motivi per cui valga la pena far esaminare quel consenso nuziale dalla Chiesa, anche perché molto spesso anche l’altro coniuge ha desiderio di ritrovare la serenità interiore con un matrimonio sacramento. Questa certo è la situazione ideale per iniziare una causa di nullità confidando quindi sulla piena collaborazione dell’altra parte.
C’è chi prende la notizia con scetticismo, con la frase “fa pure ciò che vuoi” e spesso aggiungendo “basta che non debba tirare fuori soldi!!” oppure “ma non bastava avere il divorzio?”. In questi casi si può anche sperare poi, di fatto, su una collaborazione dell’ex coniuge perché il Tribunale Ecclesiastico non va alla ricerca di colpe e di responsabilità, bensì alla ricerca della verità (cosa che cerchiamo sempre di spiegare) che emerge dal racconto sereno e obiettivo delle due parti in causa: è da questi racconti che si deduce la nullità o meno del matrimonio ormai fallito. Infine c’è anche una diversa ipotesi, ossia che l’altra parte scelga di non partecipare al procedimento rendendosi assente dal giudizio. Questa scelta indubbiamente priva il procedimento di nullità di una versione importante, quella dell’altro coniuge, ma non per questo impedisce di procedere ugualmente alla dichiarazione di nullità. E’ un po’ generalizzato il concetto che se l’altra parte non collabora non si può fare nulla. Non è vero, anche se dobbiamo però aggiungere, e qui la capacità e la sensibilità dell’Avvocato sono importanti, che dipende molto dal motivo che viene addotto per la dichiarazione di nullità (quello che chiamiamo il capo di nullità) perché se tale motivo riposa solo ed unicamente sull’altra parte che non collabora, indubbiamente il procedimento si presenta molto più difficile soprattutto per arrivare ad una prova che dia certezza morale ai Giudici.
Deprecabile è invece quando l’opposizione dell’altra parte induce a deporre il falso: c’è un peccato di sacrilegio perché noi richiediamo sempre il giuramento religioso (o sul proprio onore) prima di deporre, c’è un gravissimo peccato contro l’ottavo comandamento, e non stiamo parlando di piccole bugie, qui si parla della vita spirituale e concreta di una persona, c’è infine un grave peccato contro la giustizia. Non è da dimenticare che le bugie “hanno le gambe corte”, ossia la menzogna usata in Tribunale è facilmente dimostrabile. La stessa e identica cosa però va detta anche a carico di chi promuove una causa sul falso e sulla infondatezza: è bene ricordare che se anche è possibile ingannare gli uomini, Dio non lo si può ingannare: una dichiarazione di nullità ottenuta con il falso non risolve certo il problema di coscienza: un giorno o l’altro ci si dovrà confrontare con Dio.
Papa Francesco sempre nel discorso sopra ricordato afferma: “L’opera dei Tribunali deve svolgersi nella sapienza e nella ricerca della verità: solo così la dichiarazione di nullità produce una liberazione delle coscienze”.
E’ invece semplice rispondere alla preoccupazione dell’altra parte di dover tirare fuori soldi per il processo di nullità. Deve essere ben chiaro che la parte convenuta (ossia l’altro coniuge che viene coinvolto nella richiesta di nullità) non deve assolutamente esborsare neppure un euro salvo il caso in cui, volendosi decisamente opporre alla causa di nullità, scelga di farsi difendere da un proprio avvocato di fiducia o da un Patrono Stabile.
Nei nostri procedimenti di nullità chiediamo sempre alla parte che promuove la causa l’assistenza di un avvocato perché altrimenti senza di quello avremmo tante difficoltà di tipo procedurale, ma non è assolutamente necessario che la parte convenuta si nomini un proprio avvocato, salvo appunto che non voglia a tutti i costi opporsi alla causa.
Infine è opportuno ricordare che le udienze, ossia gli interrogatori delle due parti e dei testi avvengono sempre in modo del tutto riservato, le due parti in causa non si incontrano mai, l’interrogatorio è condotto dal Giudice e verbalizzato da un notaro. Normalmente non sono presenti altre persone, anche se è diritto del Difensore del Vincolo assistere agli interrogatori come lo stesso diritto ha anche l’avvocato o gli avvocati. Insomma non esistono processi davanti ad un pubblico né interrogatori alla presenza di altre persone estranee. Ogni interrogatorio si svolge in un semplice ristretto locale od ufficio.
- Affrontiamo anche l’altra annosa difficoltà, che difficoltà non è, ma “l’immaginazione collettiva” continua a credere che per avere la dichiarazione di nullità ci vogliano tanti soldi.
Questo argomento lo abbiamo trattato già molte volte, ma riuscire a far cambiare mentalità è difficile. Papa Francesco ha ripetuto cento volte che la causa di nullità deve essere gratuita perché si tratta della valutazione di un Sacramento della Chiesa. Di fatto gratuita lo è, se una persona non è in grado di tirare fuori neppure un euro, rivolgendosi ai Nostri Patroni Stabili sia per consiglio e sia scegliendoli come avvocati per la loro causa, non devono spendere assolutamente nulla e la causa è totalmente gratuita. I Vescovi Italiani giustamente, se una persona è in grado di farlo, chiedono un piccolo contributo, molto piccolo rispetto alle spese del Tribunale, potremmo dire che è quasi una elemosina, che è di € 525,00 che può diminuire nella sua entità se una persona non fosse in grado di affrontare quella cifra; spesso la situazione economica attuale spinge le persone a versare quella cifra ratealmente. Come si è già detto nulla viene richiesto alla parte convenuta salvo che non voglia scegliersi un proprio avvocato per difendersi.
E’ chiaro che se una persona si rivolge ad un avvocato questo deve essere giustamente remunerato salvo che non si rivolga ad uno dei Nostri Patroni Stabili, sono due avvocati che svolgono comunque e sempre funzione di consulenza e, specie se vi sono problemi economici, possono essere scelti come avvocati: in questo caso nulla è dovuto al Patrono Stabile che è remunerato dal Tribunale; pertanto in questo caso la causa di nullità , per chi può, viene a costare € 525,00.
Chi desidera invece rivolgersi ad uno studio professionale, esiste l’Albo dei nostri Avvocati (ovviamente rinvenibile nel sito del nostro Tribunale), che pertanto debbono essere remunerati con un compenso che è stato fissato in modo tassativo dagli stessi Vescovi Italiani.
- Questo argomento mi permette di affrontare un’altra difficoltà, o disagio o timore nei nostri fedeli che vogliono ricorrere al Tribunale Ecclesiastico. Sia la figura dell’avvocato e sia poi, soprattutto, la figura del Giudice che interroga sono visti, pensati come persone severe, che dall’alto del loro compito giudicano, indagano, investigano. In effetti non ci nascondiamo che appare palese l’atteggiamento di ansia, di timore, di timidezza, della parti in causa quando debbono essere interrogate, ma la stessa cosa spesso la riscontriamo anche nei testi che si presentano a deporre: nell’immaginazione e nel linguaggio spesso si pensa o si parla della Sacra Inquisizione di secoli fa distorta poi dai soliti mezzi di comunicazione.
Di fronte a questo problema mi pare di poter rispondere e invitare sia le parti interessate che tutti i testi ad essere del tutto sereni: innanzitutto perché essi sono chiamati a dire solo la verità come l’hanno vissuta e come la conoscono, per cui non c’è nulla da temere. I timori ci sono quando invece si cerca o di occultare la verità o di evitare di dire proprio tutto per il timore di danneggiare la parte interessata o la causa stessa. Questo è un errore fondamentale: ciascuno deve cercare di dire solo la verità, questo è un problema di coscienza che riguarda le parti e i testi. Tacere la verità, occultarla, non dire tutto quasi sempre è a danno della causa stessa!!
Quanto agli avvocati o ai Giudici che interrogano vorrei qui rilevare che i nostri avvocati, tutti, sono animati innanzitutto da spirito cristiano e poi da un grosso senso pastorale, ossia quello di cercare il bene della persona senza forzare la verità, senza alterarla, ma nell’ambito della obbiettività: dicendo la verità non bisogna mai temere nulla.
I Giudici che interrogano certo indagano fino in fondo, proprio perché devono cercare di avere in mano tutti gli elementi sia della coscienza delle parti e sia per poter in coscienza al termine della causa giudicare. Ma anche i Giudici, siano essi sacerdoti che laici, ancor più sono animati da un senso di pastoralità, di attenzione, di delicatezza anche nell’interrogare cercando di mettere a proprio agio la persona che si sta interrogando. Non si deve aver paura, a volte si potrà sentire un certo disagio a dover rispondere a certe domande delicate ma se certe domande si fanno, è perché c’è un motivo e tutti devono sapere che chi interroga è ampiamente abituato ad ascoltare qualunque cosa sia riferita, anche le più gravi nefandezze. La vita di una persona è diversa dall’altra e spesso è drammatica, spesso è peccaminosa, spesso è assai triste. Non ci si deve dunque preoccupare dell’interrogatorio che sicuramente si svolgerà nel modo più sereno possibile. Certo è che se ci presentiamo a deporre in causa già partendo con cattiveria, con la volontà di danneggiare l’altro, l’interrogatorio sarà indubbiamente assai penoso, penoso perché non rispettoso della verità.
- La delusione nei casi di risposta negativa alla richiesta di nullità. In questo caso ci si arrabbia, ovviamente con il Tribunale, con i Giudici, con gli avvocati ecc.
Tutti dobbiamo sapere che una causa di nullità è un processo: il sistema processuale, che indubbiamente può sembrare, già nella sua parola, ben poco pastorale nella Chiesa, è del resto però necessario perché il matrimonio è stato celebrato in due, la dichiarazione di nullità riguarda due persone, marito e moglie, in ordine ad esaminare nell’ambito della verità un atto pubblico, il Sacramento del matrimonio celebrato davanti ad una comunità. Ma per poter evidenziare questa verità è giusto che ciascuna delle due parti abbia il diritto e il dovere di esprimere la propria verità nonché provarla, per cui può essere che in qualche caso, (come si è visto dalle statistiche piuttosto raro), la causa di nullità si concluda con una sentenza negativa perché la coscienza dei giudici così ha suggerito. La dichiarazione di nullità non è automatica, ma è una sentenza vera e propria, pubblica, con cui un collegio di Giudici in coscienza decide se quel matrimonio può essere dichiarato nullo oppure no.
E’ ancora Papa Francesco che nel discorso ricordato afferma che i Giudici “in un certo senso sono gli esperti della coscienza dei fedeli cristiani. In questo ruolo il Giudice è chiamato ad invocare incessantemente l’assistenza divina per espletare con umiltà e misura il grave compito affidatogli dalla Chiesa, manifestando così la connessione tra la certezza morale che il Giudice deve raggiungere dagli atti e l’ambito della sua coscienza….entrando nell’ambito sacro della coscienza dei fedeli”.
Come è ben noto, a fronte di una sentenza negativa, c’è l’istituto dell’Appello che per il nostro Ligure è il Tribunale Piemontese, oppure si può anche ricorrere direttamente al Tribunale della Rota Romana.
L’Appello è un’ulteriore possibilità di riesame della causa da parte di un altro Collegio di Giudici e non meraviglia che possa ribaltare la sentenza negativa di primo grado.
Vorrei però qui porre l’accento che la sentenza negativa non è un atto di cattiveria della Chiesa o dei Giudici, è solo un atto di coscienza come sopra ci ha ricordato Papa Francesco.
Tutti dobbiamo rispondere a Dio quando si parla di un Sacramento: le due parti che si sono sposate, gli Avvocati, i giudici e anche i testi che hanno partecipato al procedimento di nullità. E’ un atto che coinvolge la propria coscienza e la propria rettitudine verso Dio.
Mi auguro quindi che nessuno osi pensare, come spesso si sente dire, che con i soldi ottieni la dichiarazione di nullità. Non è assolutamente una questione di soldi: prova ne sia che le cause di nullità hanno esito, come si è visto, in genere positivo e si tratta di cause in buona parte di povera gente, o gente molto semplice che non avrebbe neppure i mezzi per “corrompere” il tribunale.
La corruzione è un gravissimo peccato umano: dove ci sono uomini c’è peccato per cui non meraviglia, se in qualche caso possa esserci stato questo peccato, ma di fronte a un peccatore ci sono invece tanti uomini virtuosi che con coscienza svolgono il proprio dovere e il proprio lavoro di avvocati e di Giudici: stiamo infatti parlando di una istituzione della Chiesa. Infine dobbiamo metterci in testa ciò che ho sopra ricordato ossia: che senso può avere “strappare contro verità” una dichiarazione di nullità di un Sacramento quando poi dobbiamo risponderne a Dio!!
- Papa Francesco chiaramente, da tutto il suo insegnamento, ci dice che di fronte ad un matrimonio fallito o anche di fronte a scelte successive non corrette (divorzio-nuovo matrimonio civile-altri figli ecc.) la prima cosa da fare è vedere se non sia possibile una dichiarazione di nullità del matrimonio sacramento. Negli scorsi anni ho dato ampio spazio ai motivi di nullità che sono davvero tanti e in genere sconosciuti dai fedeli, per cui quando ci si separa definitivamente dal proprio coniuge, la prima cosa da fare per un cristiano è vedere se quel sacramento che ha creato il matrimonio e che è fallito non sia fallito proprio perché non è mai nato, ossia si trattava di un consenso non valido. Come sopra ho detto c’è una forte presunzione che se un matrimonio fallisce è perché è nato non valido.
Se, fatta l’esperienza o il tentativo di dichiarazione di nullità, il problema non sia risolvibile, allora Papa Francesco raccomanda di rivolgersi ad un aiuto pastorale per fare un cammino di discernimento, che non è né facile né breve, ma che potrebbe concludersi anche con una soluzione di coscienza e quindi potersi riavvicinare ai Sacramenti della riconciliazione e dell’Eucarestia.
L’IMPEGNO PASTORALE DELLE COMUNITA’ PARROCCHIALI
Il Sacramento del matrimonio è stato celebrato nella Chiesa e davanti ad una comunità, se fallisce non è più un problema solo personale dei due coniugi, è un problema che investe e deve investire tutta la comunità ecclesiale o parrocchiale. Dunque tutti abbiamo il compito di aiutare questi coniugi che si sono separati e divorziati perché abbiano il coraggio di fare il primo passo ossia rivolgersi al Tribunale Ecclesiastico per appurare la possibilità o meno di una dichiarazione di nullità.
Questo compito lo hanno certamente innanzitutto i Parroci, i Sacerdoti particolarmente nell’ambito della Confessione sacramentale, i Diaconi, i catechisti, gli educatori parrocchiali ma anche ogni singolo fedele, specie i genitori delle due parti che si sono separate.
Il compito di tutti è consigliare, indirizzare, accompagnare, specie nei primi passi, chi vuole ricorrere al Tribunale Ecclesiastico, è un atto di squisita carità, ma anche di giustizia perché un matrimonio, si ripete, è una realtà che costituisce la stessa comunità parrocchiale che è fatta di famiglie.
Mons. Paolo Rigon
Vicario Giudiziale
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